Il monte Velino

Dai Piani di Pezza pernottando al Sebastiani, al monte Velino. Discesa per la val Cerchiata


Tante sono le volte che questa montagna è stata protagonista di una escursione, diventa difficile parlarne ancora e cercare di dare spunti nuovi. A dire il vero con il Velino anche trovarli gli spunti, per non ripetersi, diventa sempre più complicato. La salita per la direttissima mi manca ancora nel novero delle esperienze, ma non era pensabile programmarla con il caldo di questi giorni, stessa cosa per il canalino; ci ha pensato Marina a trovare la soluzione, la sua passione per queste montagne è una marcia in più e ne è venuta fuori una due giorni memorabile, in cui ci siamo riappropriati del tempo, infrasettimanale, con pernotto al rifugio, un rifugio vuoto e per questo più intimo, più isolato ancora. Dopo mezza giornata di lavoro partiamo alla volta di Piani di Pezza, la strada che li attraversa è sempre “sgarrupata” ma ancora in buono stato per una berlina; parcheggiamo alla fine della piana, dove solitamente quasi non c’è posto tante sono le auto. Siamo invece la terza, segno che le montagne sono vuote. Contrariamente a quanto pensavamo non fa caldo, c’è un venticello piacevole e cosa ancora più importante le nuvole coprono il sole. Più sù avvolgono anche le vette, in cima sono buie e dense, pensiamo i soliti accumuli estivi. In fondo alla piana al centro del prato il palo segnaletico ti manda a destra per la val Cerchiata ed il rifugio Sebastiani, il sentiero entra nel bosco, ci rimane per una quarantina di minuti fino ad uscirne all’imbocco dei pratoni della valle stessa; un altro palo segnaletico, diritti si va per colle dell’Orso a destra ancora per il Sebastiani. Quelli che nel bosco sembravano echi lontani ora erano a tutti gli effetti tuoni, sempre lontani, ma erano indubbio segno che lassù quelle nubi nere stavano scaricando un po’ di frescura ulteriore. Fuori dal bosco il pendio si fa più ripido ed i tornanti più frequenti, agile e mai affannoso è un bel tratto misto di sentiero quello che sale al cospetto della parete della Cimata del Puzzillo, continuamente dentro e fuori dal bosco, piccoli passaggi su roccia e affacci continui sulla piana di Pezza e verso Punta Trento e colle delle Trincere, un duemila mancato di poco. Poco più di un’ora di salita ed il sentiero spiana, sale più dolcemente, siamo intorno a quota 2000, si insinua tra la il colletto di Pezza dove già si intravede la bandiera italiana issata dal rifugio ed il costone della Cimata del Puzzillo. Raggiungiamo il rifugio che il cielo è ancora coperto ma non tuona più, intorno non è bagnato, deve aver scaricato più in là, oltre il Costone, verso il lago della Duchessa. All’interno del rifugio oltre alle due simpatiche gestrici c’è solo un signore della nostra età che gioca a carte con i suoi due figli, scopriremo che si tratta di Marco, romano, in vacanza con i figli di circa otto e nove anni, che sono letteralmente elettrici all’idea di dover passare la notte in tenda, piantata poco più in la accanto al rifugio. Abbiamo solo il tempo per un giro perlustrativo intorno al rifugio, godiamo delle luci tenui del pomeriggio avanzato e dei panorami delle due valli limitrofe, del Puzzillo e dei Piani di Pezza; riusciamo pure a percepire una certa frescura quasi fastidiosa, letteralmente una chimera improbabile poche ore prima in quel di Aprilia. In un rifugio che non è completamente autonomo, che non è rifornito di corrente dal basso, le giornate sono più corte, si tende a sfruttare la luce del giorno e a vivere con i ritmi del sole; alle sette e mezza del pomeriggio una succulenta polenta con abbondanza di salsicce ci aspetta a tavola. Poche ore prima si grondava di sudore, a cena la polenta fumante era semplicemente una goduria. Fine della cena, due chiacchiere, la famigliola a digerire scorribandando sui crinali del Costone e noi a prepararci il sacco letto. Siamo solo noi due quando le luci si spengono, ancora le ultime sensazioni del tramonto entrano dalle due finestre e poi più niente. Una notte finalmente fresca e piena di sonno. Sveglia alle 6, ricca colazione e siamo fuori che è una splendida giornata serena e tersa, i piani di Pezza sono coperti ancora da una leggera nebbiolina, dura poco, evapora a vista d’occhio sotto i primi raggi di un sole che promette già di guerreggiare. Saliamo al fresco della brezza della mattina, nemmeno il tempo di farsi le gambe e siamo già sul traverso sul fianco del Costone verso colle dell’Orso, la valle Cerchiata sotto, le coste di Punta Trento di fronte e la piramide del Velino che spunta dalla linea di cresta. Bello trovarsi appena partiti nel mezzo di tutte queste montagne. Svalichiamo, individuiamo l’attacco del sentiero che scende per la val Cerchiata e che useremo nel pomeriggio per il ritorno a valle e prendiamo a girare il traverso sotto il versante di Punta Trento. Dobbiamo raggiungere la dorsale che attraversa la montagna, fino alla sella che è la testa di due valli, quella del Bicchero a sinistra e del vallone dei Briganti dall’altra parte. I ghiaioni rocciosi del Velino li abbiamo sempre davanti mentre saliamo le svolte erbose del Bicchero; le fioriture coloratissime, il verde intenso che calpestiamo e il pallore dei ghiaioni che abbiamo davanti sono un contrasto surreale ma intenso. Per scavallare il Bicchero il sentiero si fa breccioso, sale e scende con alcune svolte prima di ritrovare l’ampia erbosa dorsale che sinuosa sale lentamente verso Cimata di Fossa Cavalli. Incontriamo ogni sorta di fioritura, gli orizzonti sono sempre ampi e le montagne imponenti nella loro rudezza, camminiamo leggeri senza renderci conto che siamo già sui ghiaioni, ora più pendenti, che salgono alla sella verso il Cafornia; gli ultimi tratti del sentiero prima della sella sono contornati e pieni di copiose fioriture di gialle margherite, uno spettacolo! Il Cafornia lo sfioriamo, prendiamo subito ad attraversare verso la montagna principale, ogni tanto un affaccio sul vallone dei Briganti, immenso e arso, fino alla Cima Avezzano che voglio salire dopo tanto averne sentito parlare. E’ una bella cima, lo spigolo Sud è poco pronunciato, quello Nord è più ripido, entrambi pietrosi e ciottolosi, mentre il versante dentro la valle dei Briganti è una parete verticale, una vera montagna se vista da Nord. Ridiscendo verso il sentiero che traversa sotto la cresta per inseguire Marina che avendo snobbato la Cima Avezzano è già nei pressi dell’attacco dello spigolo del Velino. Il sole è ormai a picco, i polverosi tornanti della montagna si vanno facendo ripidi, è il caldo che fa arrancare quasi sotto la vetta ma una volta in vista della croce nemmeno l’affanno impedisce a Marina di esultare dalla felicità per aver finalmente raggiunto, di nuovo, e questa volta vivendola a pieno, l’ambiziosa vetta. Il tempo di riprendere fiato, rispolverare un panorama conosciutissimo e mangiare qualche biscotto ed un po’ di frutta che da Sud, dal canalino arrivano un paio di escursionisti; sulla prima, un po’ delusi, pensiamo che nemmeno in infrasettimanale si riesce ad essere soli su questa montagna, decisamente una delle più frequentate degli Appennini, poi dalla sagoma di chi è davanti, dal suo intercedere, dal suo “bianco pizzetto” mi sembra di scorgere una vecchia amicizia che non incontravo più da molto tempo. Sulle prime rimango titubante, non mi sembra possibile, poi provo a chiamarlo: Maurizio! Solleva la testa incuriosito anche lui, sulle prime non mi riconosce, anche io bardato con un cappellaccio dalla larghe falde e dietro occhiali neri penso di essere irriconoscibile, poi quando lo richiamo forse riconosce la mia voce. Maurizio Franciosi, un’amicizia nata in montagna, sulle orme di Aria Sottile, gli vado incontro ed un abbraccio suggella l’amicizia e la stima reciproca. Una bellissima sorpresa, davvero una chicca ad impreziosire questa bella giornata. Mi presenta il suo amico, poi un secondo che stava arrivando subito dietro, uno dei due un altro “cacciatore” di vette del club2000 (mi spiace non ricordo i loro nomi). Una foto in vetta a fermare il ricordo di questo piacevole incontro è inevitabile, uno dei giovani ragazzi che nel frattempo stavano raggiungendo la vetta da Nord viene “arruolato” e non può che offrirsi per farci lo scatto. Il tempo per un po’ di chiacchiere, per rispolverare il tempo che non ci siamo frequentati, per aggiornarci sugli ultimi accadimenti e ci salutiamo; non prima di esserci promessi una “reunion” di Aria Sottile per cercare di ritrovare tutte le anime disperse in Appennino che sono passate tra di noi. Il ritorno è per la stessa via dell’andata, fino al Bicchero, solo che il sole, ora a picco, picchia più duro; una volta sulla sella che chiude la valle del Bicchero decidiamo di deviare e non ripercorrere il sentiero dell’andata, quello “normale”, fino alle falde di Punta Trento e fino al colle dell’Orso; dalla sella decidiamo di scendere i pendii dentro la testa della valle dei Briganti, una flebile, forse vecchia traccia di sentiero l’avevamo vista mentre salivamo all’andata. Ci eravamo fatti una rapida riflessione, un calcolo di convenienze, meno chilometri da percorrere in cambio di una pettata più ripida. A parità di dislivello la seconda ci era sembrata più proficua. Il sentiero ci ha condotto sopra uno sperone a due terzi della costa, poi si è perso nei ghiaioni; da lì siamo saliti fino in cresta per linee logiche, tra gradini terrazzati e macchie di ginepri. Con i polmoni in gola e dopo affannosi venti minuti svalichiamo esattamente a colle dell’Orso, esattamente all’attacco del sentiero che scende per la val Cerchiata. Non un metro di più abbiamo fatto, forse in termini di distanza percorsa ci è andata bene, ma non abbiamo considerato il caldo delle ore centrali della giornata, in cima eravamo stremati. Per fortuna il sole nel frattempo placava i suoi morsi, delle nuvole che si stavano addensando e un vento fresco che in cresta era anche più sostenuto davano un benevolo refrigerio. Giusto il tempo per riprendere fiato e scendiamo dalla parte opposta di dove siamo arrivati; un paio di tornanti e siamo dentro la valle, di nuovo in mezzo a fioriture di ogni colore. Il sentiero devia tra i tondi promontori che formano la valle, ora a destra ora a sinistra, sempre dominato dall’incombente parete verticale di Punta Trento e della lunga ripida dorsale fino al colle delle Trincere; sinuoso serpeggia dentro la valle abbassandosi progressivamente, sempre molto ben tracciato, sempre vario e piacevole, fino ad arrivare al palo segnaletico al limite del bosco dove si riprende il sentiero dell’andata. E’ quando siamo quasi all’incrocio dei sentieri, mentre siamo già in vista del paletto segnaletico e programmavamo una sosta mangereccia, così, all’improvviso, le prime gocce; le nubi non erano minacciose erano chiare ma ogni tanto cadeva una goccia. A centocinquanta metri dal paletto segnaletico un tuono lontano, poi uno più vicino, poi le gocce di pioggia sempre più grosse e fitte. Ci siamo detti che sarebbe bastato un faggio per quella poca pioggia, di certo si trattava di una nuvola passeggera e sicuramente non c’era rischio di temporale. Calcoli speranzosi e propiziatori, ma disattesi; mentre tranquillamente seduti ci stavamo gustando i panini che ci eravamo portati, gocce grosse come noci e chicchi di grandine cominciavano a massacrarci. Nel giro di due minuti nulla era più possibile fare, e bagnati come pulcini abbiamo continuato a mangiare senza troppa fretta. Nel frattempo i tuoni si susseguivano, mai troppo vicini per fortuna, eravamo abbastanza tranquilli, poi lentamente si allontanano e la pioggia scema. Non rimaneva che attraversare il bosco fino alla piana, un bosco gocciolante che non ci faceva più capire se stava ancora piovendo o se erano le chiome che stavano solo scolando. Sotto i gusci stavamo facendo “schiuma”, un caldo umido ci soffocava, ma era la giusta conclusione di una giornata che non ci ha fatto mancare nulla. Alla macchina tutto era passato, solo lassù, sul Colletto di Pezza le nuvole continuavano a ristagnare; asciugati e ricomposti riprendiamo per la via di casa e mentre la sterrata disconnessa ci sballottolava non poco, i pensieri erano già rimpianti, rivolti tutti alla frescura che avevamo vissuto e che stavamo per perdere.